Per chi si occupa di pianificazione della supply chain, gli ultimi anni sono stati un banco di prova notevole. Senza scendere troppo nei dettagli, è certo comunque che, dallo scoppio della pandemia in avanti, il quadro globale di riferimento è cambiato molto e ha messo in crisi molte certezze.
In particolare il modello di filiera estesa e agile che sembrava vincente fino agli inizi del 2020 sembra aver ricevuto una dura battuta di arresto. È esemplare in questo senso il caso di Toyota, icona della produzione just-in-time, che nel 2021 ha iniziato finalmente ad accumulare scorte fino a 4 mesi di alcuni componenti vitali.
Anche il ricorso diffuso ad outsourcing e offshoring viene messo in discussione, mentre alcuni grandi player del mercato iniziano ad accentrare e incorporare funzioni. Accade con Amazon, che ora si costruisce i propri container e mette in piedi anche una propria flotta aerea per rendersi impermeabile a problemi logistici. Altre aziende, a partire dal 2020, hanno iniziato a “riportare a casa” porzioni consistenti della propria catena di approvvigionamenti. Così, secondo uno studio di Buck Consultants, il 60% dei dirigenti di aziende europee sta pensando di riallocare elementi della propria filiera dall’Asia all’Europa.
Il quadro generale dunque è quello di un ripensamento complessivo dei modelli di business, che coinvolge in primo luogo le strategie di pianificazione della supply chain. Soprattutto per quanto riguarda i rischi potenziali e le possibili oscillazioni tra supply & demand. Non è un caso se, in un sondaggio McKinsey, il 59% delle aziende intervistate dichiarava di avere adottato dopo la pandemia nuove strategie di supply chain risk management. Ancora una volta, queste strategie funzionano davvero quando poggiano su dati significativi e su una visibilità end-to-end della supply chain. Solo così, infatti, riescono a tenere conto di tutte le variabili in campo.
Prima di considerare queste nuove strategie, è il caso però di definire meglio a cosa si applicano. E quindi: cosa si intende per supply chain planning (SCP)?
Le attività di SCP, ovvero di pianificazione della supply chain, muovono essenzialmente dall’analisi e bilanciamento di domanda e offerta in un processo produttivo. Il supply chain planning, così, si occupa della programmazione delle attività necessarie a garantire l’esecuzione di cicli produttivi nella maniera più efficiente ed economicamente vantaggiosa, prendendo in considerazione l’intera catena di approvvigionamento. Tra le altre cose, quindi:
Naturalmente, una buona pianificazione della supply chain ha lo scopo ultimo di migliorare ogni aspetto della catena di approvvigionamento, da quelli interni fino ad arrivare alla gestione dell’intera filiera, anche esterna all’azienda, con migliori rapporti di rete fra clienti e fornitori. Ma come si concretizzano i vantaggi? Vediamo alcuni dei più significativi
Per approfondire meglio la definizione di supply chain planning, può essere utile considerarne alcune componenti essenziali. Tra queste:
Se i costi, il time-to-market, l’efficienza sono e rimarranno elementi chiave per pianificare una strategia di approvvigionamento, in tempi incerti diventano importanti anche altri fattori. Per esempio, il livello di stabilità e continuità del supplying.
Basti pensare alla fase acuta della supply chain crisis dell’autunno 2021, con la congestione dei porti e il blocco di intere filiere produttive. È stata forse la manifestazione più evidente del livello di incertezza che catene di approvvigionamento estese a livello globale possono avere. Il near- o reshoring è una possibile risposta a questi problemi, che però non è adatta in ogni contesto. Un’altra possibilità è quella del multisourcing, ovvero di una diversificazione delle fonti di approvvigionamento. È una strategia che richiede però, per funzionare, un coordinamento estremamente efficace di un network di supplier, e una gestione dei processi di approvvigionamento particolarmente rapida.
Un’altra variabile che ha acquisito importanza nel supply chain planning è, invece, relativamente indipendente dalla disruption portata dal Covid. È quella della sostenibilità e risponde a una duplice esigenza:
Da non sottovalutare, infine, neppure le potenziali ripercussioni positive, in termini di cost-saving, di una pianificazione più attenta alla sostenibilità. Un efficientamento complessivo che, naturalmente, le aziende hanno tutto l’interesse a sfruttare.
Quelle elencate sopra sono solo alcune nuove istanze da considerare in fase di pianificazione della supply chain. Nell’insieme, evidenziano l’importanza di adottare strategie flessibili e data-driven per ottimizzare il supply chain planning. Strategie che possono avere per obiettivo:
Una strategia dinamica di approvvigionamento, così, è quella per cui il supplying viene gestito:
- allineando le esigenze produttive alle disponibilità effettive di risorse;
- comparando le offerte di più supplier e scegliendo in funzione di audit accurati;
- monitorando e tenendo sotto la quota critica i livelli di stock;
- valutando e ottimizzando gli aspetti logistici dell’approvvigionamento.
Esistono, tuttavia, numerose strategie diverse per la gestione delle scorte, ciascuna delle quali ha prerogative specifiche. Vediamo quelli più comuni:
Nella strategia push, il prodotto viene fabbricato in anticipo, per poi essere distribuito.
Nella strategia pull, al contrario, la produzione si adegua alla domanda del mercato, realizzando il prodotto solo quando questo viene effettivamente ordinato.
Nella strategia del lotto economico, o di Wilson, adatto alle imprese con volumi contenuti e flussi costanti, permette di determinare la quantità ottimale di materiale da ordinare per contenere i costi bilanciando quelli di approvvigionamento e di tenuta del magazzino.
Nel modello Just-in-Time, si mira a una gestione più flessibile, in cui le scorte vengono rinnovate solo quando è strettamente necessario, eliminando gli sprechi.
Infine, nell’Analisi ABC, l’inventario viene suddiviso in tre categorie (A, B, e C, appunto), in base alla frequenza di acquisto, al valore e alla frequenza di rotazione. Ciascuna delle categorie viene gestita con criteri specifici.
Per allineare supply e demand in un contesto di estrema variabilità, dunque, compito di un supply chain planner deve essere la continua verifica e nel caso ridefinizione della strategia messa in atto. Per farlo, deve poter contare su nuovi strumenti, in grado di offrirgli piena visibilità sui processi in atto e anticipazioni efficaci sulle potenziali evoluzioni.
Questo è uno dei motivi per cui l’impiego di tecnologie quali il machine learning e l’AI ha tanto peso nelle moderne soluzioni di supply chain management. Offre infatti la possibilità di impostare una strategia di supply chain planning in maniera proattiva.
Sfruttando i dati per creare simulazioni attendibili, queste tecnologie sono così in grado di anticipare scenari realistici tanto in fase di supply quanto nell’analisi dei trend di mercato e della loro evoluzione. In questo contesto, un abilitatore efficace è una soluzione dedicata di supply chain planning, che riesca a collegare tutti i dati di interesse, renderli intelligibili e fornire così ai decision-makers le basi per condurre una pianificazione della supply chain mirata. La tecnologia è infatti uno dei fattori essenziali che possono rendere un processo di supply chain planning più efficace. A livello strategico, l’obiettivo è definire strategie data-driven.
Fonti: